Dal vangelo secondo Giovanni (14,1-6)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».
In queste tre righe del Vangelo giovanneo ricorre per ben tre volte il verbo accogliere: un verbo che ti apre a forti significazioni di vita. Si, "accogliere" è un verbo che fa luce e dà colore. Soprattutto se arrivi a intendere in profondità questa parola di Gesù: "Chi accoglie colui che io manderò" a cui si aggancia tutto il resto.
Il termine “Dio” può sembrare freddo ed evocare la distanza. L’appellativo di “Padre” è pieno di affetto e di tenerezza: è il termine proprio della Rivelazione. Si può essere intimoriti da Dio perché la sua santità è un rimprovero al nostro essere profani. Come siamo sensibili invece al nome di “Padre”! I popoli chiamano la loro terra “patria”. Ciò sottintende una protezione, un conforto ed implica amore. Ci sentiremmo a casa nostra nella casa del Padre, ci sentiremmo a nostro agio, rassicurati. Questa è l’opera fantastica dell’amore: trasformare una casa nella propria casa e un servo in un figlio.